In Danimarca, dove la felicità è un diritto

Vanity Fair

Siamo stati in Danimarca, per conoscere, da vicino, il mondo raccontato nel film d’animazione Trolls e scoprire i segreti del paese più felice al mondo. Da oltre 40 anni

Che i danesi fossero davvero felici l’ho capito poco dopo il mio arrivo a Copenaghen. Mentre passeggiavo all’interno del parco Kongens Have (Giardino del Re), nonostante la pioggia battente, la felicità pura si è materializzata davanti a me. Due bambini, giocavano a saltellare dentro un’enorme pozzanghera, insieme alla loro mamma. Per i danesi infatti non esiste brutto tempo, esistono piuttosto vestiti non adeguati alla pioggia. È tutta una questione di punti di vista e il loro viaggia a 360 gradi, per trovare l’aspetto positivo in ogni situazione. E stare bene, nonostante gli oltre 170 giorni di pioggia l’anno.

Crescere bimbi felici (col metodo danese)

Non è un caso dunque che siano nati qui i Trolls, le meravigliose creature dalla chioma colorata e dall’allegria contagiosa, raccontate nella pellicola d’animazione Trolls, distribuita da 20th Century Fox Home Entertainment, e dal 22 febbraio in DVD e Blu-ray con Warner Bros Entertainment Italia. Il film è disponibile dal 24 febbraio anche on demand su Sky Prima Fila, Premium Play e Infinity. Dal 9 febbraio si trova in Digitale.

Ma come fanno i danesi a essere, in base al World Happiness Report, stilato ogni anno dall’Onu, i più felici del mondo, da oltre 40 anni? Non è difficile rispondere a questa domanda. È bastato parlare con alcuni di loro per scoprire che la loro felicità è un diritto vero e proprio. O meglio, una serie di diritti che i danesi hanno garantiti.

Il diritto allo studio innanzitutto. Le scuole e le università sono gratuite e anzi, come mi racconta Olivia, ventenne, «io percepisco uno stipendio mensile pari a 800 euro per frequentare l’università. Qui lo studio è considerato un diritto di tutti e un lavoro, come gli altri».

Il popolo danese è anche quello che sopporta oneri fiscali tra i più elevati al mondo, e anche questo non è un caso. «Quasi il 50 per cento del nostro stipendio va in tasse ma per noi è un investimento sulla nostra società. Sul nostro benessere», mi spiega Anne Kirtsine, cinquantenne, mamma di Olivia, mentre mi mostra la sua casa, all’interno del complesso 8tallet, nel quartiere Ørestad, zona sud di Copenhagen. Un edificio realizzato all’insegna del design, sovrastato da un enorme tetto giardino e circondato da un lago.

«Pagare le tasse significa avere accesso a una serie di benefici che rendono la nostra qualità della vita migliore», continua Anne Kirstine, ben consapevole, come la maggior parte dei danesi, che il modello assistenziale trasforma la ricchezza collettiva in benessere.

Ed è grazie a questa consapevolezza che le famiglie danesi non hanno paura di avere figli. E lo dimostra la ripresa del tasso di natalità negli ultimi anni, in seguito a diverse campagne nazionale messe in atto per incentivare la popolazione ad avere più figli.

«Quando sono diventata mamma – mi racconta Iben Dissing Sandahl, psicologa e autrice del saggio The Danish Way of Parenting – insieme a mio marito mi sono trasferita per sei mesi in Sicilia. Ci siamo detti che diventare genitori era un’esperienza speciale che andava celebrata in maniera altrettanto unica».

La legge danese prevede fino a un anno di congedo, con lo stipendio pagato al 100 per cento. Inoltre la maternità può essere divisa tra madri e padri, sei mesi a testa oppure tre e nove mesi. È normale infatti incontrare molti giovani padri in strada, mentre passeggiano, spingendo una o anche due carrozzine. Infine lo stato eroga un sussidio per ogni figlio a carico, fino al raggiungimento del diciassettesimo anno.

«La libertà a cui educhiamo i nostri figli è alla base della nostra riuscita – mi spiega Iben Dissing Sandahl, mamma di due figli adolescenti -. La libertà di azione, di scelta e anche di sbagliare, sin da piccolissimi. Non raccontiamo sempre e solo il lieto fino, lasciamo ai nostri figli la possibilità di scoprire anche le cose più tristi e negative. Insieme a loro cerchiamo l’aspetto positivo».

C’è una parola in particolare che ben racconta la chiave della felicità danese: lo hygge. Per noi italiani impronunciabile così come altrettanto intraducibile. Lo hygge è una sensazione, un’atmosfera, un momento da condividere, la semplicità, una candela accesa. A cui ogni danese non rinuncia, la Danimarca consuma infatti più candele pro capite di qualsiasi altro paese europeo.

«Stare con gli amici davanti al camino, leggere un libro, bere una cioccolata in tazza, condividere il più possibile, è questo lo hygge». A spiegarmelo, davanti a una fetta di torta all’interno dell’antica pasticceria La Glace, è Meik Wiking, che fa uno dei più bei lavori del mondo: studia ciò che rende felici le persone. È infatti il presidente dell’Happiness Research Institute di Copenaghen, dove le candele sono accese dal lunedì al venerdì e autore del bestseller Hygge, la via danese alla felicità.

«Condivisione, libertà, sono queste le parole alla base della nostra felicità – continua Wiking – ovviamente supportate dalla nostra politica». Assistenza sanitaria gratuita garantita, salari identici per uomini e donne, giornata lavorativa a orario limitato. I danesi lavorano infatti molte meno ore di noi e non sacrificherebbero mai per una riunione o un pranzo di lavoro, una passeggiata con la famiglia o gli amici. Questo è hygge.

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Iben Sandahl

Iben Sandahl comes from Denmark and is an internationally-renowned public speaker, best-selling author, psychotherapist and educator. She has more than 20 years of experienced insight into child psychology and education, which in a most natural way anchor the Danish way of practicing parenthood. Her work has been featured in The Wall Street Journal, The Washington Post, The Huffington Post, Salon, El Païs, Reader’s Digest, Greater Good Science, Elle and many more - and her main mission is to help parents raise happy and confident children. She writes for Psychology Today (https://www.psychologytoday.com/intl/experts/iben-sandahl ) and leads an European Erasmus financed project on how to implement empathy in schools and institutions all over Europe.

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